ASCOLTIAMO LA MUSICA

ed usiamo il cervello!!

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  1. -Ginky-
     
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    dai che aspettiamo la prox rece :woot:
     
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    Qui-Gon: Worst Jedi Ever

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    Ragazzi trasferisco anche questa nella sezione musicale, così la riempiamo un po' :sìsì:
     
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  3. LargoLagrande
     
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    hai fatto bene mig...

    THE KINKS - The Village Green Preservation Society

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    I Kinks sono celebri nel panorama dei sixties perché, oltre ad essere stati uno dei complessi più influenti in termini di Hard Rock, gettandone le basi con il riff duro e bruciante di You really got me, ne hanno combinate di tutti i colori, specie grazie al loro inconfondibile Not Politically Correct, i loro testi, infatti (basti pensare a Yes sir, no sir di Arthur) sono satira dura e convinta contro la loro Inghilterra, tanto che ci penserà pure la Regina in persona a boicottarli. Grazie a questo loro difettuccio, una rissa scatenata ad un loro concerto negli states, gli verrà impedito di andare in America per 4 anni. Inoltre, sempre loro, hanno avuto la sfiga di suonare insieme nell'epoca in cui mostri sacri come Beatles, Stones, Who, Doors, Floyd ecc davano il proprio meglio. Questo è un motivo perché essi sono ai più sconosciuti.

    Dunque, The village green preservation society. Ma come, non la conoscete? E' la società che i Kinks formano proprio in questo disco, la società che cristallizza le verdi brughiere, Paperino e le fragole con la panna, permette, nella mente dei Davies (i fratelli leader del gruppo) di vivere per sempre in cui la LORO Inghilterra era così e non una reliquia per turisti. E' prevalentemente un disco basato sulla nostalgia dei 4 artisti.
    Chi dovesse sentire dischi dei Kinks, all'inizio affermerebbe di certo (specie se il suddetto disco è Something Else) che questi diventano nelle loro canzoni narratori di felicità e spensieratezza. In realtà è l'opposto, l'eccezione che conferma la regola è Village Green, anche se le note, accompagnate con largo uso di organetto o fisarmonica, camuffano abbastanza bene questa situazione, sotto sotto c'è malinconia, nostalgia, come già detto prima. I testi sono tutti molto belli, nessuno scritto a caso e talvolta hanno anche il fine di commuovere, a leggerli comunque vediamo l'intento dei Kinks di rimanere stanziati nel loro mondo, God save the Village Green, prendere foto, da mettere nel proprio album... non scordare mai i momenti più belli della nostra vita, Pictures Book, People take pictures of each others.

    Questo album all'esordio si rivelò un flop, clamoroso se pensiamo che i Kinks piazzarono già al tempo tre 45 giri al primo posto delle top-ten (tra cui You really got me), troppo britannico per il mercato americano, non abbastanza groovy per la Swingin' London. Verrà rivalutato un po' di tempo dopo e dichiarato come pietra miliare della musica Pop del tardo sessanta (1967). 15 pezzi dove si lascia spazio, dunque alla riflessione e alle lacrime, dove i tempi di You really got me si vedono solo in una distortissima Wicked Annabella. 15 pezzi estremamente eclettici, sulla chitarra di Davies accade di tutto, folk, blues, hard rock (1967!!!) e chi più ne ha più ne metta.

    La title-track, nonché prima traccia, è stupenda, i Kinks non ci girano troppo intorno e ci fanno subito capire cos'hanno in mente, ma lo fanno nel modo più strano possibile. Si parla di nostalgia con note allegre, basterà Do you remember Walter, altro pezzo eccezionale e Johnny Thunder a farci cambiare idea. Il nostro cuore va in un crescendo di emozioni e mentre questo succede ecco il terzo pezzo dell'album, Picture Book, un rock & roll spensierato, dove i quattro fotografano tutto, intanto noi andiamo avanti... e ci immedesimiamo ormai in un disco che già dalle prime 3 tracce entra in noi... e dopo il viaggio per l'ultimo treno, le passeggiate per le infinite verdi brughiere inglesi, sotto l'enorme cielo azzurro, ecco la vena satirica dei Davies che esce fuori. Sotto le note di un progressive sintetizzato al massimo, i Kinks ci dicono come preferiscano di gran lungo vivere in fattoria, fino a concludere nella commovente Village Green.
    Segue ancora qualche perla, la commovente Phenomenal Cat, Wicked Annabella per chiudere in People take picture of each others, tanto per ribadire il concetto!

    Questo disco è un tripudio di emozioni e sentimenti, perfettamente gestite dagli strumenti e dai musicisti, sempre affiatati e attenti, è un prodotto questo di eccezionale fattura, di un eclettismo esagerato e di acutissima intelligenza. I Kinks, protagonisti di un'eccezionale carriera, hanno anch'essi il loro capolavoro... che forse non sarà all'altezza di altre perle dei colleghi Beatles, Stones o Who (anche se io ritengo che lo sia), ma una cosa va detta. Dio salvi il Villaggio Verde, God Save the Kinks.

    TRACKLIST
    1. The Village Green Preservation Society
    2. Do You Remember Walter?
    3. Picture Book
    4. Johnny Thunder
    5. Last Of The Steam-Powered Trains
    6. Big Sky
    7. Sitting by the Riverside
    8. Animal Farm
    9. Village Green
    10. Starstruck
    11. Phenomenal Cat
    12. All of My Friends Were There
    13. Wicked Annabella
    14. Monica Davies
    15. People Take Pictures Of Each Other
     
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  4. -Ginky-
     
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    anche questo non lo conosco ma dalla recensione mi incuriosisce molto!

    provvederò :asd:

    cmq grandissima questa rubrica, complimenti a largo. già il fatto che mi fa conoscere nuovi album di gruppi di cui ero all'oscuro è fantastico.
     
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  5. LargoLagrande
     
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    oggi è domenica e voglia saltami addosso :|:

    ci sentiamo per domani
     
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  6. Spiffy2
     
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    CITAZIONE (LargoLagrande @ 20/4/2007, 20:47)
    Vabeh, serve anche a questo la rubrica :)

    nel senso, di dare un minimo di mappa sul cosa ascoltare, andando sul sicuro, non far sentire la gente ignorante, s'intende ;)

    SE SE...SERVE SOLO A FARTI DI
    :rolleyes: OHHHhhhhh Larguuuu commme sei bravuuuuuuuu

    MA VA , VA , VAAAAAAAA :puozzapassanient: :porc: :puozzapassanient:


    SPOILER (click to view)
    :ridiridi: ..... :bravooo: :clab: :bravooo: :bravooo: :clab:
     
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  7. LargoLagrande
     
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    Dunque, rieccomi che aggiorno questa rubrica che ho lasciato in sospeso per qualche tempo. Premetto dicendo che m'ero ripromesso, all'inizio di tutto, di mantenere un certo ordine cronologico, cosa che con questa recensione non riuscirò a fare, per cui mi scuso, ma è andata così.

    PHIL SPECTOR - A Christmas Gift for You
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    Allora, intanto chi è Phil Spector e spieghiamo un attimo che cos'ha significato questo disco nella storia della musica e facciamo un po' di quello che, in gergo "giocodiruolesco", si chiama il BACKGROUND.
    Ci troviamo nel 1963, questo disco è destinato al grande pubblico americano come il loro Disco di Natale, purtroppo il 22 novembre l'assassinio del presidente JFK scuote l'America e l'uscita dell'album del nostro affezionatissimo verrà slittata di alcuni mesi, il necessario per frenare il boum che molto probabilmente avrebbe con violenza impattato sul mercato. Phil Spector, ad appena 21 anni, alla fine del 1963, era già produttore di una propria casa discografica, aveva già lanciato due complessi femminili (che suonano, oltretutto, in questo disco) ed aveva accumulato talento ed esperienza come arrangiatore. Le tracce sono 13 e ben 12 sono rifacimenti e riarrangiamenti di grandi classici natalizi con la partecipazione di Darlene Love ed altri artisti. Perché allora, mi chiederete, un disco di classici natalizi è di importanza capitale nella storia della musica? Dal cappello magico di Mr. Spector uscivano tante magie grazie ad altrettanti trucchi, uno di questi, la più importante, come già detto, è l'abilità del produttore di riarrangiare i pezzi in maniera semplice, ma elevandoli ad opera d'arte. Con un'orchestra a disposizione raddoppiava gli strumenti, inseriva percussioni di ogni genere e, attraverso sovraincisioni, amalgamava il tutto in quel suo celebre "wall of sound", straordinaria fusione di sinfonismo wagneriano e rock'n'roll. Il risultato, come abbiamo già detto, sono sì grandi classici, ma l'interpretazione datagli deborda dal consueto. Arrangiamento + Sentimento = Capolavoro, ecco la simpatica equazione segreta che sta dietro all'album...
    Tuttavia, nonostante il disco parli da sè, il mercato non fu clemente, complice lo slittamento testè citato ed il successo che doveva essere inevitabile fu, invece, inevitabilmente smorzato. Tuttavia un signorino, poco più giovane, allora, di Spector, di nome Brian Wilson (sempre lui!!), che appena ventenne aveva già scalato più e più volte le Charts americane coi suoi inimitabili singoli da spiaggia, ebbe la fortuna di assistere, diciamo, al "making of" di questo disco, imparando tutto ciò che doveva sapere. Risultato? Due parole: Pet Sounds. Wilson, se vi capitasse di fargli la domanda "Qual'è il tuo album preferito?", lui vi risponderà "A christmas gift for you", quello che per lui significò grande ispirazione per uno (forse il) dei dischi più belli di sempre.

    Ora scendiamo, brevemente, nel particolare. A christmas gift for you è un album estremamente omogeneo nei contenuti (ci mancherebbe!), il sipario viene aperto dalla voce straordinaria di Darlene Love che intona le inconfondibili note di White Christmas (cioè Bianco Natale), il cantato di questo pezzo è straordinario, senza contare l'orchestra dietro diretta alla perfezione dal nostro amico capellone Phil. Le tracce seguenti sono tutti grandi classici, trasformati in maniera irreversibile in tanti piccoli segmenti che fanno sognare l'ascoltatore, mentre gli stampano un sorriso duraturo e genuino sulle labbra. L'allegria che sprigiona ogni singola nota è contagiosa e vi verrà voglia di ballare o di abbracciare chiunque vi capiti vicino! In ogni pezzo è cauterizzata la firma Spectoriana che, trasformando le canzoni in vere e proprie sinfonie, esaltandole ad un livello superiore (un livello che fino al 1963 non si sapeva nemmanco l'esistenza) artistico. Questa è storia, eppure premendo play, ogni volta, ci sembrerà di sfogliare le pagine del Libro della Musica attuale. I capolavori permangono e non vengono mai dimenticati. Questo è lo spartiacque fondamentale che ci divide dai vari Elvis e Cash, che amplifica l'idea di Beatles e Beach Boys. E citando Spector nell'ultima traccia dell'album: "We wish you the very merriest of Christmases and the happiest of new years".
    Questa è una cosa semplicemente.... bella. Benvenuti alla (ri)scoperta della Musica.

    TRACKLIST
    1. White Christmas - Darlene Love
    2. Frosty The Snowman - The Ronettes
    3. The Bells Of St. Mary's - Bob B. Soxx & the Blue Jeans
    4. Santa Claus Is Coming To Town - The Crystals
    5. Sleigh Ride - The Ronettes
    6. Marshmallow World - Darlene Love
    7. I Saw Mommy Kissing Santa Claus - The Ronettes
    8. Rudolph The Red-Nosed Reindeer - The Crystals
    9. Winter Wonderland - Darlene Love
    10. Parade Of The Wooden Soldiers - The Crystals
    11. Christmas (Baby Please Come Home) - Darlene Love
    12. Here Comes Santa Claus - Bob B. Soxx And The Blue Jeans
    13. Silent Night - Phil Spector and Artists
     
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  8. LargoLagrande
     
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    TRAFFIC - Mr. Fantasy
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    Allora, cerchiamo di tornare sommariamente sui nostri passi, finora abbiamo parlato dei più famosi e bei dischi pop degli anni 60 e di sempre che (eccezion fatta per i Kinks) comunque non influenzarono più di tanto la musica in senso lato, ma più si influenzarono tra loro (vedasi Brian Wilson con Phil Spector e Beatles con Brian Wilson. Naturalmente i Love stanno a parte). Però adesso parliamo di un disco che, insieme ad After Bathing at Baxter's dell'Areoplano, aprì letteralmente il portone del rock psichedelico.
    Cominciamo quindi con lo spiegare chi è Steve Winwood, un incredibile talento precoce, leader già a 16 anni di una band (Spencer Davis Group) importante nel panorama di quei tempi, senza contare i famosi singoli messi sul mercato (Gimme some lovin'). Tuttavia la pressione sulle spalle di Winwood divenne mano a mano intollerabile e si fece crescente la voglia di cambiare aria, considerando anche il fatto che Winwood non credeva molto più al progetto. Preferiva decisamente qualcosa in cui spaziare da generi diversi: blues, rock, prog, pop, jazz ecc. Nasce così il progetto Traffic, a lui si uniscono il chitarrista il chitarrista Dave Mason (sempre del Group), il batterista Jim Capaldi e il fiatista Chris Wood. Di lì a poco questa formazione divenne fondamentalmente pioniera di un nuovo genere. Dopo qualche mese passato insieme a suonare ed un singolo sfornato le divergenze tra il chitarrista ed il leader dei Traffic si fanno insostenibili, così Mason abbandona il gruppo. In questo clima, che è un po' lo scenario delle prime esperienze del gruppo, esce però il primo disco Mr. Fantasy. Mason è presente nelle registrazioni e pure in copertina e sarà ringraziato a dovere. Il sound del disco è completamente nuovo, specialmente lo è l'uso di fiati (aspettando i Jethro Tull) in abbondanza, basti pensare al primo pezzo dell'album dove sax e melodia si sposano perfettamente per un componimento perfetto. Tuttavia c'è anche un nonsoché di orientale grazie alla moda (made in George Harrison) di usare (questo vale per la maggiorparte dei chitarristi come si deve del tempo) sitar e affini. Il tutto condito da psichedelia, ma non imponente come quella dell'Areoplano, questi ultimi psichedelici non solo nella musica, ma anche negli ideali e nei testi (incredibile, no?), mentre Winwood e compari disegnano sofficemente lo sfondo, accennano i dettagli. Ai Volontari e poi al resto del mondo accentuarne i dettagli.
    Già dalla prima traccia ci immergiamo da un mix geniale, sax, pianoforte, basso, voce doppiata di Winwood... tutto si sposa benissimo. Risultato? Un intro epico e famosissimo, è quello di Heaven is in your mind, in attesa di pochi secondi che la voce del solista si allarga con vari eco all'infinito. Non facciamo tempo a renderci conto di quanto 'sto pezzo è bello quando parte Mason con un assolo DAVVERO psichedelico e soprattutto davvero niente male. Segue Berkshire Poppies, una canzone "goliardica", un po' "incasinata" ma altrettanto geniale. Al primo ascolto può sembrare una cagata, ma poi con mentalità critica ci si rende conto che anche questo è un grande pezzo (si sentono dei rutti), fino a che il basso parte, chitarra e poi una bruciante "rullata" di pianoforte e tutto accelera. Si arriva alla fine? Beh, difficile dirlo, poiché in questa canzone ci sono addirittura 3 falsi finali! Di seguito c'è House for Everyone, un campionamento di una manopola, come quella di un carillon ed una melodia sempre dominata dal sax di Wood. Voce nasale di Mason, ampio uso del Charleston (se non sbaglio) e poi compaiono i violini, tocco di classe fondamentale per rendere anche questo pezzo un capolavoro. Tutto si ammorbidisce con la dolcissima No face, no name, and no number, alla ricerca di un'ipotetica sconosciuta ragazza dalle sembianze stupende ed uniche. Addolciti ancora da questa melodia ci ritroviamo nei meandri di Dear Mr. Fantasy, pezzo propriamente visionario e psichedelico che nel genere tocca picchi altissimi (ricordo che siamo nel 67). Segue l'acustico Dealer e poi si arriva piano piano fino in fondo, con tutte le tracce che slusciano piacevolmente via, sempre alla ricerca di piacevoli melodie che allietano e scrivono pagine indelebili nella storia del rock. Questo è uno degli esordi più importanti della storia della musica ed oltre alla sua importanza è tutto piacevolmente bello, impreziosito da alcuni dettagli e da piccole cose geniali. I Traffic si proiettano nel panorama Inglese e Mondiale, otterranno grandi assensi sia per questo disco che per i successivi e, nonostante le lotte interne ed i cambi di formazione, la storia è stata scritta un po' anche da loro.

    TRACKLIST

    1. Heaven Is In Your Mind
    2. Berkshire Poppies
    3. House For Everyone
    4. No Face, No Name, No Number
    5. Dear Mr. Fantasy
    6. Dealer
    7. Utterly Simple
    8. Coloured Rain
    9. Hope I Never Find Me There
    10. Giving To You
     
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  9. LargoLagrande
     
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    VAN MORRISON - Astral Weeks

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    Van Morrison è un cantautore polistrumentista proveniente dalla Gran Bretagna, specializzato soprattutto nell'utilizzo del sax e proveniente da un grande successo con il suo precedente complesso, i Them, con il singolo indimenticabile Gloria (ora come ora ricordo anche, parte della colonna sonora del film di F. F. Coppola, I ragazzi della 56ma strada), risalente al lontano 1965. Ora, però, ci troviamo nel 1968 ed il primo lavoro solista di Morrison, grazie purtroppo ad una produzione scadente, non raggiunge lo sperato successo ed il musicista cade in depressione, si alcolizza e lascia per un certo periodo l'ambito musicale. Tornerà in studio proprio quest anno con fior fiore di musicisti Jazz, Blues e Swing per supportarlo in questo mastodontico lavoro, dal nome di Astral Weeks. Morrison riunisce tutto il suo talento di musicista e lo mixa a passione e sentimenti in questa sua opera omnia, nettamente superiore ad alcuni suoi ottimi lavori, mi viene in mente il blueseggiante Moondance oppure il suo ultimo album che risale addirittura a pochissimi anni fa. Il risultato può sembrare, ad un primo ascolto superficiale, stantio ed insostenibile. "Un vero polpettone". Sta di fatto che Mojo, rivista musicale a livello del Rolling Stone, in una classifica risalente al 94, quando ancora non esistevano Mellow Gold, Grace o Ok Computer, lo piazza primo tra tutti, secondo solo a Pet Sounds e... man mano che continuiamo ad ascoltare la graffiante voce dell'Irlandese Morrison ci rendiamo effettivamente conto del capolavoro che abbiamo tra le mani. Egli non si pone affatto il problema di raccogliere in un album una manciata di buone canzoni... o di ottime, addirittura, canzoni. Lui non scrive canzoni, in questo album, semplicemente raccoglie tutti i propri sentimenti ed il suo amore, lo armonizza, lo arrangia, lo melodizza. La sua voce ci strugge e ci rende felici al tempo stesso, accompagnata quasi sempre da un charlestone talvolta aperto, talvolta chiuso (esempio lampante: Sweet Thing) o da fiati arrangiati splendidamente (The way young lovers do oppure Slim slow slider) e una classica che non manca e non guasta mai. L'inizio, con l'omonima Astral Weeks è eccezionale, una maracas ed una classica. La voce entra imponente e poco dopo la segue una melodia costituita da archi (violini). La poesia dei testi ci rapisce praticamente subito, le 'urla' improvvisate di Morrison ci lasciano a bocca aperta, proprio mentre subentrano i flauti ed il basso. La semplicità diventa grande, perché le fila vengono tirate da un intrepido condottiero, che non ha perso in questi anni la verve musicale... e mentre la voce di Morrison ci prende per mano e ci conduce alla seconda traccia, proprio quando i violini sciamano sempre di più, la voce si fa sempre più fioca e l'unica cosa distinta rimane la maracas, che non smette di andare dall'inizio. Andiamo 'in another time, in another place, in another face'...
    Entriamo in Beside You e stavolta l'atmosfera è più cheta, la voce di The Man suona più grave e attempata, ma non senza gli exploit che lo contraddistinguono dagli altri musicisti mentre l'accompagnamento è solo classica. Usciamo da questa tristissima traccia sopraffatti ed entriamo in Sweet Thing, l'aria è più allegra, alla classica si sovrappone un triangolo e subito dopo la voce di Morrison. Parte il charlestone, che farà da percussione per tutta la canzone, il ritornello è eccezionale... 'Oh... sweet thing', mentre i fiati, le 'urla' formano un tuttuno. Subentrano i violini ed, ebbene sì, stiamo ascoltando un'altra traccia eccezionale. Non abbiamo neanche il tempo di apprezzare tutto questo ben di Dio a pieno che veniamo catapultati di nuovo nella malinconia di Cyprus Avenue, nome di una strada che ricorrerà parecchie volte durante il disco. Il pezzo è molto simile a Beside You, la classica la fa da padrona, ma tuttavia i soliti fiati guarniscono la melodia, accompagnati da archi. In The Way Young Lovers Do, il pezzo più 'canzone' tra tutti, oltre all'interpretazione vocale di Morrison, eccezionale, abbiamo un exploit vero e proprio di un'orchestra, dove un assolo di sax fa da padrone, mentre le trombe accompagnano la voce intrepida. Il pezzo è eccezionale, ma ancora bisogna prepararsi per il vero capolavoro del disco, che viene subito dopo. Si chiama Madame George. La voce dell'uomo è di nuovo melanconica, la melodia struggente ci demolisce. Morrison si mette a nudo, raccontandoci in quasi dieci minuti, i suoi sentimenti, le sue emozioni, ciò che vede negli occhi di Madame George. E così ci mettiamo a nudo pure noi, con rischio pesante di lacrime (dry your eye for madame george), mentre Van da vita ad un'ancora più emozionante e quasi infinita (e questo è decisamente un bene) improvvisazione (the love, the loves, the love, the loves, to love the loves that love the loves ecc ecc; dry your eye your eye your eye your eye...). I successivi sette minuti di quel capolavoro di Ballerina, dopo questa, sembreranno una canzoncina da niente in confronto.
    Il sipario (purtroppo) si chiude con Slim Slow Slider, un delizioso e breve epitaffio dove i fiati tracciano melodie eccezionali, il disco si chiude particolarmente con dei colpi d'avvertimento, come alla fine di uno spettacolo pirotecnico.
    E questo è stato. Van Morrison, all'ascolto, brucia tutte le nostre convinzioni, eleva le nostre anime, talvolta schiaffeggiandoci e facendoci soffrire, talvolta divertendoci e facendoci sognare. Astral Weeks è un gioiello, un'opera complessa, un capolavoro di rara, rarissima bellezza, come già detto non possiede canzoni, ma emozioni... e senza dubbio, perlomeno durante e poco dopo l'ascolto, riesce a cambiarci per sempre.

    TRACKLIST

    1.
    Astral weeks
    2.
    Beside you
    3.
    Sweet thing
    4.
    Cyprus Avenue
    5.
    The way young lovers do
    6.
    Madame George
    7.
    Ballerina
    8.
    Slim slow rider
     
    .
  10. LargoLagrande
     
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    NICK DRAKE - Pink Moon

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    La storia di uno dei cantautori più sottovalutati di sempre, Nick Drake, è affascinante quanto al tempo stesso drammatica. Egli nasce nel 48 in Birmania (a causa dei continui spostamenti dei suoi genitori), cresce in una villa in mezzo alla natura, nella pace più assoluta, coccolato tanto dai genitori che gli vogliono bene e dalla sorella maggiore. Egli vive un'infanzia felice ed innocente, alle medie è un ragazzo ricettivo e socievole, umile, ma affascinante. E' inoltre un atleta molto dotato e per molto tempo nella sua scuola rimarrà suo il record dei 100 metri. La passione per la musica gli viene trasmessa dalla mamma, impara infatti a suonare pianoforte, sassofono e clarinetto, ma ben presto s'innamorerà della chitarra classica. Ed è proprio da questo connubio, voce-chitarra, che nasce questo capolavoro, ma ne parleremo più tardi.
    Drake si diploma e dovrà separarsi per un po' dalla sua famiglia, quel nucleo protettivo di cui, per tutta la sua vita, egli non potrà fare a meno. Drake ha in se una timidezza cronica e questo non lo aiuta per nulla nel farsi notare in ambito musicale (e ben presto inizia ad alimentare dentro se stesso una sorta di auto-isolamento), nonostante il suo infinito talento. Alla fine ci riesce, nel 1968. A notarlo è il bassista dei Fairport Convention, un gruppo folk di successo (da segnalare il disco Liege & Lief), nel celebre Round House di Londra. Viene praticamente subito messo sotto contratto dalla Islands, casa discografica, ed affidato sotto le veci del produttore John Wood e come mentore l'arcifamoso Cat Stevens.
    Nick però si isola sempre di più, anche perché ora, alla mancanza della famiglia, si va a delinearsi l'insuccesso dei suoi primi due (eccezionali) dischi, che praticamente vengono ignorati e non vendono nulla. La Islands gli prenota una villa sulla Costa del Sol, in Spagna, nel 71, dove può rilassarsi e schiarire le idee. Pensare a nuovi pezzi per una nuova registrazione.
    Egli è, tra le onde e gli spruzzi, la musica ad alto volume sparata dagli stabilimenti balneari, i turisti chiassosi, le spiagge bruciate dal sole africano, seduto da solo.
    In disparte, silenzioso e per nulla abbronzato. Alto, moro, ben vestito. Una bellezza d'altri tempi, da ottocentesco nobiluomo di campagna. Non parla con nessuno, ha un'aria assente, imbronciata. Fissa qualcosa all'orizzonte: un particolare, un suono trasparente che aleggia tra le nuvole. Un ricordo che deve essere afferrato. La musica è ovunque e lui è lì per questo.
    Ad Ottobre torna a Londra: quella sera squillò il telefono di Wood, che già aveva ordini dall'alto della Islands molto rigorosi: accetta di incidere tutto ciò che ti chiede Drake, è Drake... ed ha riordinato le idee nella sua testa, è pronto per le registrazioni.
    A mezzanotte di qualche giorno successivo Drake citofona da Wood prendendolo alla sprovvista e si recano entrambi in studio. Nick è accompagnato solo dalla sua chitarra. Mi piace pensare, come narrano le leggende, che una volta fatto partire il nastro a Wood non sia rimasto altro da fare che guardare, ma soprattutto... ascoltare. Drake si limiterà, tutto d'un botto, ad eseguire tutti i pezzi di quello che poi sarà Pink Moon, senza bisogno di prove, senza bisogno di ripetersi. Nick argina la sua timidezza cronica solo con il suo strumento (che suona incredibilmente bene, uno dei migliori chitarristi in circolazione al tempo), con la possibilità di esprimersi cantando i suoi sentimenti. Ciò che nella solitudine egli prova. Ciò che vorrebbe e che non c'è, una guida, un faro... che però tanto tempo fa se n'è andato (e probabilmente allude ad una sua ex-fiamma, ricordando che lui è sposato). Wood racconterà che quella notte sbiancò letteralmente, allibito dall'eterea, pura, semplice, innocente bellezza di cui erano permeati quei pezzi, canzoni di rara bellezza che, paradossalmente, resteranno misconosciute per anni e anni. E così andava via dallo studio Nick Drake, per farci ritorno un paio di giorni dopo per mettere a punto un'ultima cosa: linee gentili di piano accompagnatrici della melodia nella title track, traccia numero uno. Ed il lavoro era fatto.

    Pink Moon musicalmente è un'esperienza straordinaria. Come già detto solo voce e chitarra, accordi piuttosto complicati e ricercati, traccie ermetiche e così empie di emozioni. Il componimento intero dura 30 minuti scarsied è uno degli album più intensi del folk acustico britannico e, allo stesso tempo, uno dei migliori nella storia dei "cantautori". Tanto breve e spoglio quanto denso di mille significati. Il disco rivela più dei precedenti chi sia veramente Nick: per concepirlo egli combatte un'ultima volta contro i demoni della depressione che da anni lo attanagliano, riuscendo per una volta a domarli. "Pink Moon" è l'ultima luce. Dopo, soltanto l'oblio.
    In Pink Moon (la prima traccia) il dolcissimo accompagnamento di chitarra, fatto di accordature aperte vorrebbe esorcizzare il male, quei pochi e sensuali accordi di pianoforte sottolineano lo stato d'animo in cui si trova: sospeso su una stella, in una dimensione ultraterrena.
    Place To Be è la seconda traccia. Gli arpeggi circolari un unico flusso di coscienza. I ricordi dell'adolescenza, quando era "giovane", "forte", "pieno di luce" eppure ancora incapace di affrontare "la realtà a viso aperto". Nick conserva un tenerissimo ricordo della sua famiglia: Rodney, il papà (commerciante di legname), la madre Molly (poetessa e musicista dilettante), quindi la sorella maggiore Gabrielle (futura attrice di cinema e Tv). Ciascuno di loro aveva dato tutto l'affetto possibile al giovane Nick, coprendolo di attenzioni, esaudendo ogni suo desiderio. E poi la dimora familiare, "Far Leys": quella grande villa a due piani, coperta di mattoni rossi, con il giardino e le colline del Warwickshire in lontananza. Quante canzoni sussurrate all'ombra di quegli alberi, quante speranze racchiuse a Tanworth In Arden, tre ore da Londra…
    Nick ha ancora bisogno di una guida, maschile o femminile che sia, non ha importanza. "Una strada da percorrere "fino in fondo", come racconta in Road. Sembra quasi nutrire in sé un'ultima speranza di rivalsa verso quel mondo di vincenti, capaci di vedere il sole senza temere nulla.
    Il pessimismo cosmico che alimenta la sua poetica è stemperato dai bei momenti chitarristici: cerchi concentrici, arpeggi caldi, pieni di arcana serenità. In Which Will si rivolge a qualcuno, ancora una presenza teoricamente risolutiva, a cui Drake chiede Chi vorrai?/ chi amerai?. E' commovente il suo tono di voce quando l'ipotesi diventa "se non sceglierai me". Nick ormai è cosciente del muro che ha innalzato nei confronti della società in anni di non-comunicazione. La presenza evocata dal brano pare ormai celeste, ultraterrena. Dopo lo strumentale "Horn", nel quale spetta alla chitarra cantare l'inadeguatezza, il grido strozzato di una psiche in frantumi, arriva "Things Behind The Sun". Si tratta del punto più lirico e teso del disco: Nick prende per la prima volta il coraggio a quattro mani e sceglie di dire la verità. Sul mondo che a lui non piace, fatto di opportunisti, arroganti e superficiali; saputelli troppo cresciuti, dispensatori di una bellezza effimera, "presa in prestito".
    Drake esorta l'ascoltatore (ma è come se parlasse di fronte allo specchio) a guardarsi da tutto ciò. Usare la sincerità per essere rispettati, senza troppa fretta o saggezza, rimanendo semplicemente se stessi. Evitare la timidezza ed esprimersi, far entrare la luce del sole per poter finalmente correre felici. Questo è il testamento di Nick, seguito dalle note aspre e severe della sua acustica.
    Dopo tanta verbosità, ecco un altro episodio scheletrico, "Know". Qui c'è tutto lo straordinario senso del blues posseduto dal cantautore. "Parasite" fornisce l'ennesima conferma al senso di inadeguatezza dell'artista. In punta di plettro, Drake sibila: "Dai un'occhiata e mi potrai vedere per terra/ perché sono il parassita di questa città". Il pensiero va forse a una vecchia fiamma che gli fa compagnia, che ha provveduto al suo sopravvivere. Una presenza rassicurante che però, stufa del suo essere altrove, smette di prendersi cura di lui. E Nick vaga per la "linea nord", fissando "le scarpe tirate a lucido". Incapace di darsi una risposta, reo confesso di non aver saputo dare a chi chiedeva un po' d'amore.
    In "Ride" si prende addirittura gioco di questo presunto personaggio, dichiarando di conoscerlo fin troppo bene.
    Nick Drake fa il pagliaccio, ma è se. Drake prevede ancora la disfatta, ma stavolta sembra sereno.
    Il sogno paradisiaco di Drake è tutto nell'ultimo brano, "From The Morning". Finalmente è in grado di vedere una magnifica alba. Finalmente cessa di aver paura della notte, che acquista un'"aria bellissima". Si alza dal suo letto e vede davanti nuovi "percorsi colorati e senza fine". Ancora una volta il candore, l'innocenza di Drake ti fa piangere.

    "Pink Moon" esce il 25 febbraio 1972. Nonostante il discreto impegno della Island, venderà ancora meno degli album precedenti. Drake decide di lasciare per sempre Londra e fare ritorno a casa dei suoi genitori a Tanworth. Continua come in passato a soffrire di depressione. Dopo l'ennesimo collasso nervoso, i suoi lo affidano alle cure dei medici che, a loro volta, somministrano forti dosi di antidepressivi. Smette di lavarsi, di cambiarsi i vestiti. Anche a quei pochi amici (fra tutti John Martyn e sua moglie Beverley) dà l'aria di un clochard. Compie lunghi viaggi solitari in macchina.
    Nel 1974 registra un'ultima manciata di brani, poi parte per la Francia col desiderio di incontrare l'amata cantante Françoise Hardy. Nessuno è in grado di riferire con esattezza le dinamiche dell'incontro, forse mai consumato. La notte del 24 novembre è di nuovo a casa. Si addormenta presto. Nel giradischi i "concerti brandeburghesi" di Bach, sul comò il "mito di Sisifo" di Camus. E' la madre a trovarlo esanime il giorno successivo. Una triste fine per un genio morto d'amore. Nick Drake aveva messo tutta vita nei suoi dischi, l'unica maniera che aveva di comunicare con il mondo esterno. Il resto non gli interessava. La sua esistenza brillava in un empireo celeste, fatto di cose semplici come gli alberi, il mare la luna e le foglie. Soltanto le sue canzoni fornivano appigli per decifrarne l'anima, trovarne il segreto patimento. Purtroppo la sua arte non è stata compresa. Ignorandola si cancellava ogni speranza. La sua chitarra ammutoliva per sempre.
    Un consistente e inaspettato risultato divulgativo arriva con gli spot pubblicitari Nike, BMW e Wolkswagen, i quali propongono brani estratti da Pink Moon come accompagnamento alle immagini. Iniziano a essergli dedicati ampi articoli di copertina, come quello del mitico mensile britannico Mojo.
    Nel 2000 è la volta di "A Skin Too Few", bellissimo documentario a opera dell'olandese Jeroen Berkven, pieno di testimonianze preziose.
    L'emittente radiofonica inglese BBC2, quella stessa che trasmetteva frettolosamente i suoi brani, per poi perdere i master, gli dedica un lungo speciale con la voce narrante di Brad Pitt. Fino alla scorsa primavera, con il miracoloso ritrovamento di "Tow The Line", nuovo brano inedito scovato dall'engineer John Wood alla fine di una bobina lunga mezz'ora. La canzone è il fiore all'occhiello dell'ultima antologia "Made To Love Magic". Insomma, una vera altalena mediatica che ha rischiato di svilire il personaggio. Curioso, perché la storia di questo ragazzo non ha nulla di febbrile e rumoroso. Drake non sapeva che farsene di vip, chiacchiere e distintivi.

    Drake ha prodotto tre album meravigliosi.
    Al loro interno c'è la passione. L'ambizione di un uomo che avrebbe voluto, nonostante la cronica timidezza, raggiungere il cuore di tutti gli ascoltatori.
    La recente riscoperta del suo lavoro l'avrebbe certamente reso molto felice. Le sue canzoni sono capaci di cambiare la vita.

    TRACKLIST

    1. Pink Moon
    2. Place To Be
    3. Road
    4. Which Will
    5. Horn
    6. Things Behind The Sun
    7. Know
    8. Parasite
    9. Ride
    10. Harvest Breed
    11. From The Morning
     
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  11. Dr. Jones
     
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    [necroposting]


    complimenti largo, sei un vero poeta ^_^

    OOOOOPS! :o:

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    tra le onde e gli spruzzi, la musica ad alto volume sparata dagli stabilimenti balneari, i turisti chiassosi, le spiagge bruciate dal sole africano, qualcuno siede solo.

    CITAZIONE
    Egli è, tra le onde e gli spruzzi, la musica ad alto volume sparata dagli stabilimenti balneari, i turisti chiassosi, le spiagge bruciate dal sole africano, seduto da solo.

    CITAZIONE
    Nick Drake aveva messo tutta vita nei suoi dischi, l'unico maniera che aveva di comunicare con il mondo esterno. Il resto non gli interessava. La sua esistenza brillava in un empireo celeste, fatto di cose semplici come gli alberi, il mare la luna e le foglie. Soltanto le sue canzoni fornivano appigli per decifrarne l'anima, trovarne il segreto patimento. Purtroppo la sua arte non è stata compresa. Ignorandola si cancellava ogni speranza. La sua chitarra ammutoliva per sempre.

    CITAZIONE
    Nick Drake aveva messo tutta vita nei suoi dischi, l'unica maniera che aveva di comunicare con il mondo esterno. Il resto non gli interessava. La sua esistenza brillava in un empireo celeste, fatto di cose semplici come gli alberi, il mare la luna e le foglie. Soltanto le sue canzoni fornivano appigli per decifrarne l'anima, trovarne il segreto patimento. Purtroppo la sua arte non è stata compresa. Ignorandola si cancellava ogni speranza. La sua chitarra ammutoliva per sempre.


    [/necroposting]

    Edited by Dr. Jones - 19/8/2008, 04:09
     
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  12. Le Chuck
     
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    Lo lovvo tantixximixximo quando fa così :wub:
     
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  13. LargoLagrande
     
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    CAPTAIN BEEFHEART & HIS MAGIC BAND - Trout Mask Replica

    Trout Mask Replica is Captain Beefheart's masterpiece, a fascinating, stunningly imaginative work that still sounds like little else in the rock & roll canon. Given total creative control by producer and friend Frank Zappa, Beefheart and his Magic Band rehearsed the material for this 28-song double album for over a year, wedding minimalistic R&B, blues, and garage rock to free jazz and avant-garde experimentalism. Atonal, sometimes singsong melodies; jagged, intricately constructed dual-guitar parts; stuttering, complicated rhythmic interaction -- all of these elements float out seemingly at random, often without completely interlocking, while Beefheart groans his surrealist poetry in a throaty Howlin' Wolf growl. The disjointedness is perhaps partly unintentional -- reportedly, Beefheart's refusal to wear headphones while recording his vocals caused him to sing in time with studio reverberations, not the actual backing tracks -- but by all accounts, the music and arrangements were carefully scripted and notated by the Captain, which makes the results even more remarkable. As one might expect from music so complex and, to many ears, inaccessible, the influence of Trout Mask Replica was felt more in spirit than in direct copycatting, as a catalyst rather than a literal musical starting point. However, its inspiring reimagining of what was possible in a rock context laid the groundwork for countless future experiments in rock surrealism, especially during the punk/new wave era.
    -----------------------------------------------------------------------------------------------
    Don Van Vliet, noto negli ambienti musicali come Captain Beefheart, e` uno dei musicisti piu` originali e importanti del ventesimo secolo.
    Van Vliet ha forgiato un linguaggio musicale che attinge a fonti tanto spericolatamente diverse come il folklore delle fiabe, la pittura astratta di Jackson Pollock, l'associazione libera del surrealismo, le sinfonie di Charles Ives, le filastrocche dell'infanzia, Van Gogh, il free-jazz, la musica dei commercial; ma ha usato il blues del Delta, quello piu` ruvido e primitivo, come fondamenta e impalcatura del suo edificio artistico.
    Al tempo stesso Van Vliet ha compiuto una prodigiosa operazione di abuso fisico e psicologico su quelle fonti, e in particolare sul blues, ottenendo l'equivalente musicale di una spaventosa deformazione visiva, una sorta di esagerazione demenziale dei dogmi artistici di surrealismo, dadaismo e cubismo.
    Per ottenere quella folle deformazione, quel "warping" spaziotemporale, quella prospettiva apocalittica e blasfema, Van Vliet ha fatto soprattutto leva sulla mostruosa apertura vocale, che, come cantante, gli consente di impersonare personalita` sempre diverse ed estreme (in un sublime atto di schizofrenia), anche all'interno dello stesso brano, e di visitare depressioni psichiche e stati di allucinazione con la delicatezza di un rinoceronte.
    Mentre gran parte della musica rock assumeva una qualita` "mitologica" che alla fin fine si riduceva a un'operazione sciamanica e taumaturgica nei confronti di una realta` angosciante, Van Vliet procedeva in direzione opposta, accentuando gli squilibri psichici causati da quella realta`, spingendoli all'eccesso della pazzia, cibandosene come un cannibale spirituale. Se il resto della musica rock metteva il cuore nella musica, Van Vliet ci metteva la mente, e non la mente razionale, bensi` la mente istintiva e primordiale, la mente dilaniata dalle frustrazioni e dalle contraddizioni della societa` moderna, la mente del subconscio collettivo che si esprimeva per spasimi, ringhi, ruggiti e ululati, come un animale in gabbia.
    Van Vliet stese un ponte ideale fra l'animale che si agita ancora dentro il nostro repertorio genetico e l'uomo sintetico del duemila.
    La sua era una forma di iper-realismo innestata sulle ansie e fobie dell'era atomica, un iper-realismo che sfociava in una grottesca rappresentazione pagana di quell'era.
    Anche nell'aspetto mondano Van Vliet si differenzia dal resto dell'ambiente musicale: Van Vliet e` stato uno dei personaggi piu` pittoreschi della musica rock degli anni '60 ed e` in seguito diventato uno dei personaggi piu` reclusi della musica rock.
    Nato a Glendale, nei pressi di Los Angeles, nel 1941, Don Van Vliet crebbe dal 1954 a Lancaster, nel deserto del Mojave. Dopo aver manifestato una precoce inclinazione per la pittura e la scultura (i suoi pupazzi d'argilla vennero utilizzati per otto anni da una trasmissione televisiva), Van Vliet si diede alla musica, imparando a suonare il sassofono e l'armonica. Milito` nei Blackout, un complesso di rhythm and blues. I suoi studi all'Antelope Valley College durarono sei mesi. Poi Van Vliet si trasferi` nella stessa area di Cucamonga in cui esercitava Frank Zappa, i due divennero amici e suonarono in alcune formazioni locali, spartendosi i magri guadagni e l'anonimato. Esuberante e intraprendente oltre misura Zappa, abulico e indisponente oltre misura Van Vliet, i due ebbero sempre problemi a coesistere. Il soprannome di Captain Beefheart glielo diede comunque Zappa (per un film sui freak mai realizzato).
    Captain Beefheart formo` la Magic Band nel 1964 a Lancaster. Il gruppo esordi` dal vivo alla Hollywood Teenage Fair del 1965. Nel giro di due anni il loro sound si evolse da un'imitazione dei Rolling Stones a un rhythm and blues senza capo ne' coda, il piu` scalcinato dell'epoca.
    Nel loro stile apocrifo la fantasia e l'ironia (davvero dirompenti) contavano piu` dell'imitazione dei modelli originali, in maniera non molto diversa da cio` che stavano facendo gli Holy Modal Rounders nel folk. Ciascuno dei membri stava mettendo a punto uno stile tanto blasfemo quanto originale, in particolare il batterista John French (assorbito nel 1967, diciottenne). Ma forse piu` rappresentativo era un cugino di Van Vliet, Victor Hayden, che suonava il clarinetto basso (senza aver mai imparato a suonarlo) e si faceva chiamare "The Mascara Snake". Grazie a Hayden, la Magic Band entro` in contatto con una non meno pittoresca comune di artisti-monaci che ospitavano spettacoli alternativi nel loro convento di Los Angeles.
    La Magic Band, come i Mothers Of Invention di Zappa e, sull'altra costa, i Fugs, era uno dei primi complessi non commerciali, del tutto indifferente ai generi di moda e alle classifiche di vendita. La Magic Band si spingeva oltre quella dichiarazione di indifferenza suonando blues (che gia` non era in sintonia con Beatles e Beach Boys) e per di piu` suonandolo in maniera eccentrica, da far rivoltare nella tomba Robert Johnson. Di tutti i complessi che fondarono il rock alternativo, la Magic Band era quella veramente agli antipodi della musica di regime (surf, Merseybeat, teen idols).
    Per essere pittoresco fino in fondo, Van Vliet conferi` a ciascun membro del complesso un soprannome di battaglia (French era "Drumbo") e una maschera, secondo uno schema che risaliva alla commedia dell'arte italiana e che era misteriosamente arrivata ai freak di Los Angeles (e che sarebbe stata ripresa dai Gong di Canterbury e dai Residents della new wave).
    La differenza piu` vistosa con i primi album e` la durata dei brani, che sono per lo piu` brevissimi. Un'altra differenza superficiale e` nella strumentazione, aumentata ai fiati.
    L'opera e` tanto complessa e innovativa da risultare indecifrabile. La sezione ritmica suona qualcosa di cosi` poliritmico che non fa piu` da ritmo. Il canto spazia in universi alieni, vagamente interessata alla musica. La chitarra funge da controcanto atonale. Il contrappunto dell'ensemble e` qualcosa a meta` fra il caos orchestrale di Charles Ives e l'alea di John Cage. L'improvvisazione caotica ma razionale ricorda qualcosa della frenetica geometria di Ornette Coleman (che a sua volta ne sara` influenzato). I metri eterogeni che Van Vliet produceva stavano alla melodia come la poesia libera del Novecento sta alla rima. Ma il free-jazz e la musica d'avanguardia sono soltanto alibi, pretesti, per dar libero sfogo alle pulsioni anarchiche del leader. Il disco e` di fatto un'antologia del caos in tutte le sue forme musicali. Per quanto profondamente diversi l'uno dall'altro, questi ventotto brani sono altrettante versioni della stessa scena di devastazione. Trout Mask Replica assomiglia soprattutto a un mosaico di dipinti astratti, ciascuno diverso dagli altri per colore, intensita`, contrasto, ma tutti omogenei nella loro "astrazione".
    Buona parte dei brani sono miniature di suono denso, scuro e crepitante, che vorrebbero rifondare il rhythm and blues bianco, ma sono in effetti deliri psicotici. Conservano un'ombra di melodia raccapricciante nel baccanale squilibrato degli strumenti, ma e` come il rantolo di un moribondo che tenti di articolare una frase ma riesca soltanto a mettere insieme un farfuglio sconnesso: Ant Man Bee, Frownland, My Human Gets Me Blues, Sweet Sweet Bulbs. Il dadaismo di Beefheart e` qui al culmine. I testi sono puri nonsense, schizzi astratti che servono soltanto a depistare l'ascoltatore.
    Del blues grottesco di Safe As Milk e` rimasto ben poco: la baldanza ritmica di Sugar 'n' Spikes.
    L'influenza di Zappa si avverte negli intermezzi chiacchierati e nella musica per telefonata di The Blimp.
    Nonostante la quantita` di trovate surreali, l'umor medio e` persino tragico: Beefheart non e` piu` un freak mattacchione, ma una belva attanagliata da una angoscia senza limiti.
    Fra i blues veri e propri svettano quelli senza accompagnamento, il delirio spettrale di The Dust Blows o il solenne assolo di Well. Dali`s Car spinge questo formato al limite di una musica da camera blues e gospel.
    Il blues del Delta ispira soprattutto tre dei grandi capolavori del disco: la rissa convulsa fra cani rabbiosi di Pena, uno dei capolavori vocali di Van Vliet, qui seconda voce latrante; il grottesco Dachau Blues, dedicato a suo modo ai campi di concentramento nazisti (con un contrappunto repellente di clarinetto basso da far accaponare Eric Dolphy); e la lenta China Pig, a ritmo di respiro e con accompagnamento di sola chitarra, uno dei piu` grandi blues di tutti i tempi.
    Nei brani in cui e` piu` evidente l'influenza del free-jazz, e cioe` quelli che privilegiano l'improvvisazione strumentale, si possono riconoscere tratti caratteristici della tenera disperazione dolphyiana, ma portata ad un livello deprimente di dilettantismo e pressapochismo: il litigio sconclusionato fra clarinetti di Hair Pie, il Neon Meate Dream Of A Octafish, perforato da drumming jazzato, clarinetti distorti e allucinazioni indiane, quel magma ribollente intitolato When Big Joan Sets Up. La jam piu` demenziale e assordante si trova comunque in Veterans Day Poppy.
    Sovente il canto di Beefheart ha la funzione di voce poetante nella sua bizzarra cosmogonia, mentre un'improvvisazione chitarristica e un ritmo spigliato fungono da sottofondo primitivista. E` il caso di Pachuco Cadaver, che incalza truce e spiritata a rotta di collo, e dell' esorcismo voodoo di Hobo Chang Ba, con tanto di sonagliere e canto mongoloide. Nello stesso stile "horror" si segnalano le piu` "dure" del lotto, assalti ritmici barbari e sagre dell'irrazionalita` caustica del loro menestrello: Ella Guru (con vocioni di sottofondo, sincopi sgangherate, inni gutturali, danze pellerossa, cortocircuiti di steel e riff tremebondi di basso), e l'ascesso licantropo di Moonlight On Vermont, cupo e ossessivo incubo di mezzanotte con una raffica di sincopi devastanti e tamburi voodoo (la sua versione personale dell'Hard-rock). E` il blues degli zombie, votato al sacrificio umano e ai rituali piu` occulti.
    Trout Mask Replica e` un monumentale esperimento di irregolarita` ritmiche e un impressionante catalogo di acrobazie vocali. Raucedine, gargarismi, respiri, sottovoce, falsetto... tutto serve allo scopo di smantellare l'arte del canto e tramutarla in degradata emissione di versi bestiali. Per non parlare di quel barrito di clarinetto che fa capolino ovunque, secondo la tecnica guerrigliera dello "spara e scappa".
    Il significato ultimo del pandemonio di Trout Mask Replica non e` soltanto il gioco, o la negazione del significato. Sono molteplici i messaggi allegorici del capolavoro di Van Vliet, chiuso d' altronde in un massiccio involucro di astrazioni che ne consentirebbe perfino una interpretazione cosmico-metafisica, alla faccia delle pretese di analfabetismo dell'autore. Le interpretazioni tendono a ricondurre a qualche forma di apologia della pazzia, del primitivo e del caos, contrapposti all'ordine monolitico della societa` tecnocratica.
    Beefheart prende a pretesto il blues del Delta, ma ne smembra la struttura: ritmo, armonia, tonalita`, melodia; e poi riassembla i pezzi a casaccio, in maniera asincrona, iniettando free-jazz e improvvisazioni casuali. Beefheart e` il primo musicista a compiere una operazione d'avanguardia di questa portata senza la minima pomposita` intellettuale.

    TRACKLIST
    1.
    Frownland
    2.
    The Dust Blows Forward 'N’ The Dust Blows Back
    3.
    Dachau Blues
    4.
    Elle Guru
    5.
    Hair Pie: Bake 1
    6.
    Moonlight On Vermont
    7.
    Pachuco Cadaver
    8.
    Bill Corpse
    9.
    Sweet Sweet Bulbs
    10.
    Neon Meate Dream Of A Octafish
    11.
    China Pig
    12.
    My Human Gets Me Blues
    13.
    Dali’s Car
    14.
    Hair Pie: Bake 2
    15.
    Pena
    16.
    Well
    17.
    When Big Joan Sets Up
    18.
    Fallin’ Ditch
    19.
    Sugar 'N’ Spikes
    20.
    Ant Man Bee
    21.
    Orange Claw Hammer
    22.
    Wild Life
    23.
    She’s Too Much For My Mirror
    24.
    Hobo Chang Ba
    25.
    The Blimp (Mousetrapreplica)
    26.
    Steal Softly Thru Snow
    27.
    Old Fart At Play
    28.
    Veteran’s Day Poppy
     
    .
  14. LargoLagrande
     
    .

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    BOB DYLAN - Blonde on Blonde

    If Highway 61 Revisited played as a garage rock record, the double album Blonde on Blonde inverted that sound, blending blues, country, rock, and folk into a wild, careening, and dense sound. Replacing the fiery Michael Bloomfield with the intense, weaving guitar of Robbie Robertson, Bob Dylan led a group comprised of his touring band the Hawks and session musicians through his richest set of songs. Blonde on Blonde is an album of enormous depth, providing endless lyrical and musical revelations on each play. Leavening the edginess of Highway 61 with a sense of the absurd, Blonde on Blonde is comprised entirely of songs driven by inventive, surreal, and witty wordplay, not only on the rockers but also on winding, moving ballads like "Visions of Johanna," "Just Like a Woman," and "Sad Eyed Lady of the Lowlands." Throughout the record, the music matches the inventiveness of the songs, filled with cutting guitar riffs, liquid organ riffs, crisp pianos, and even woozy brass bands ("Rainy Day Women #12 & 35"). It's the culmination of Dylan's electric rock & roll period -- he would never release a studio record that rocked this hard, or had such bizarre imagery, ever again.
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    Blonde on Blonde, primo concept album della storia, nasce nel 1966, tra le pause del primo tour mondiale di Dylan dopo la svolta elettrica, scelta portata avanti in maniera difficoltosa, viste anche le critiche piuttosto importanti dai puristi del folk di protesta, dei quali Bob era indubbiamente il simbolo.
    "Blonde on blonde" è il primo album doppio della storia, in anticipo di qualche mese su "Freak Out" di Frank Zappa, e segna il definitivo passaggio dall'era del 45 giri a quella del 33 giri; dopo "Blonde on blonde", l'album non potrà più essere concepito né come una banale raccolta di singoli, né tantomeno come una serie di riempitivi che fanno da contorno all'hit single di turno, ma diventerà il frutto unitario, indivisibile nelle sue parti, della mente e dell'anima dell'artista. Nasce di fatto la magica stagione dei concept album.
    Ma la vera rivoluzione copernicana Dylan la compie sui testi, fino a quel momento il punto debole della musica rock, che abbandonano il registro della canzone di protesta e diventano ermetici, metafisici e visionari. Le canzoni di "Blonde on blonde" parlano d'amore, ma lo fanno attraverso una cascata di citazioni e riferimenti che vanno da Shakespeare a Platone, dalla poesia simbolista di Rimbaud alle vecchie canzoni dei pionieri dei monti Appalachi; inoltre, molto spesso le liriche nascono da libere associazioni mentali di immagini (emblematica in questo senso "Visions of Johanna"), e hanno un tono colto e intellettuale davvero inconsueto per l'epoca.
    Da un punto di vista musicale, con "Blonde on blonde", registrato a Nashville con l'ausilio di musicisti del calibro di Robbie Robertson e Al Kooper (il suo organo è il protagonista assoluto del disco), Bob Dylan assimila definitivamente la lezione folk-rock dei Byrds, sviluppa il blues elettrico di "Highway 61 revisited" e getta un ponte verso le nuove istanze psichedeliche.
    Un album straordinario, che negli anni diventerà l'ossessione di tutti i cantautori del globo, e che, soprattutto, rimane una preziosa testimonianza di come la musica rock possa trasformarsi in arte con la A maiuscola.
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    Il complesso acquista un ruolo determinante: Dylan impiega musicisti del calibro di Al Kooper (organo gospel) e Robbie Robertson (chitarra country) per ottenere il massimo della suggestione dal sottofondo di accompagnamento. I testi abbandonano il registro retorico e si distendono in struggenti, disperate, tenere e malinconiche storie d'amore, che si innalzano verso metafisiche idealizzazioni della donna amata.
    I coloratissimi, enfatici, coinvolgenti, tripudi sonori di I Want You, Absolutely Sweet Marie, Just Like A Woman, One Of Us Must Know sono i capolavori del genere "cortese", melodie cadenzate con struggenti impennate emotive, ritratti eliotiani, psicologici e simbolici di personaggi femminili che, appena sfiorati dalla parola del poeta, sollevano un sontuoso luccichio di emozioni. Fittamente colorate da organo, armonica e chitarra, sospinte da ritmi brillanti, le frasi si librano in suggestioni sempre piu` trascinanti.
    Dal canto loro le filastrocche sgangherate dall'ironia surreale si stemperano in riflessioni elegiache (la sbornia goliardica di Rainy Day Women); e il blues della desolazione si rinnova piu` sereno in Memphis Blues Again, sfilata mozzafiato di senatori, Shakespeare e popolani, ennesimo "sogno" a struttura iterativa che cicla e ricicla su se stesso avvolgendosi man mano nella spirale di un sound denso e comunicativo.
    Piu' addentro ancora al labirinto metafisico di Dylan sono i due lunghi capolavori visionari, Visions Of Johanna, nel suo maestoso e arioso incedere, e Sad Eyed Lady Of The Lowlands, lungo, solenne e commovente inno alla bellezza, dal quale si staccano stasi abissali di mente sospesa sul vuoto e luminosi miraggi di vallate soprannaturali; stupefatta ninnananna per innamorati che si snoda in lenti vortici tintinnanti fino a emanare soffi impalpabili di eternita'. E` l'ultimo stadio di un simbolismo che fonde ormai meditazioni universali sulla vita e sull'amore ambientate in un paradiso spettrale. Il tema di fondo del disco e` l'amore; ma l'amore libero, selvaggio, sfrenato, delle altre canzoni contrasta con l'amore astratto di questi due poemi allegorici, moderne visioni dantesche che affermano l'entita` soprannaturale attraverso il miraggio di un arcano essere femminile. L'organo di Kooper e` qui protagonista tanto quanto il canto, con le sue impennate gospel e le sue note protratte.
    Blonde On Blonde e`, insieme al coevo Freak Out di Frank Zappa , il primo disco creativo della musica rock, la sua prima opera d'arte. La sua influenza sulla musica dell'epoca fu enorme, perche' invoglio` un'intera generazione di musicisti ad esprimere innanzitutto se stessi. Nel giro di pochi anni tutti i complessi inglesi e americani concepirono il loro primo disco creativo (battistrada commerciali i Beatles db Sgt. Pepper). Si spalancarono le porte alla psichedelia. S'inauguro` decisamente la stagione del 33 giri. Dopo Blonde On Blonde la musica rock e`, letteralmente, un'altra cosa.
    Il folksinger, il cantante di protesta, e` completamente cancellato. Il suo itinerario artistico e` approdato a due fondamentali invenzioni: il blues della desolazione e la ballata visionaria. Una miriade di elementi musicali (folk, blues, beat), il disagio esistenziale, la personalita` mitomane, le citazioni letterarie, si aggregano e si compenetrano in un unico blocco sonoro-emotivo, di cui Desolation Row e Sad Eyed Lady sono i massimi esempi.

    Ma l'intensa amarezza delle parabole dylaniane sottendeva in realta` un perpetuo, infaticabile e maniacale autobiografismo. Un alone mitico circondava gia` la vita di Dylan. La sua popolarita` era immensa, non solo nei college e non solo negli USA. La misura della sua popolarita` non la danno i dieci milioni di dischi venduti (una sciocchezza rispetto a Beach Boys e Beatles) ma le 150 cover dei suoi brani realizzate da altri artisti, un record mai piu` eguagliato.

    Nella vita privata pero' Dylan si drogava ed era dominato, piu` che dalla propria mitomania, dalla paura del mito stesso. L'intricata psicologia della sua personalita`, come risalta dai testi di molti suoi brani, gli conferiva un carisma misterioso e sinistro che affascinava ancor piu` i giovani, ma poneva anche le basi per una tragedia personale.
    Il 30 luglio 1966 quella tragedia si verifico`. Dylan si ritiro` misteriosamente dalle scene, ufficialmente a causa di un incidente di motocicletta, che gli avrebbe spezzato diverse vertebre e causato una paralisi temporanea (benche' non esistano tracce di un tale incidente).
    Durante la convalescenza i mezzi di informazione si sbizzarrirono a inventare versioni sempre piu` sconvolgenti dell'accaduto, ora descrivendo Dylan inebetito dalla droga, ora piangendolo addirittura morto. Intanto in tutto il mondo i suoi brani vendevano milioni di dischi nelle interpretazioni altrui, e per i suoi voraci fan veniva inventato il "bootleg", il disco clandestino. [...]

    TRACKLIST
    1.
    Rainy day women nos 12 & 15
    2.
    Pledging my time
    3.
    Visions of Johanna
    4.
    One of us must know (sooner of later)
    5.
    I want you
    6.
    Stuck inside of mobile with the Memphis blues again
    7.
    Leopard-skin-pill-box hat
    8.
    Just like a woman
    9.
    Most likely you go tour way and I'll go mine
    10.
    Temporary like Achilles
    11.
    Absolutely sweet Marie
    12.
    4th Time around
    13.
    Obviously 5 believers
    14.
    Sad eyed lady of the lowlands
     
    .
  15. Paint It Black
     
    .

    User deleted


    Oddio... Il 'Capitanto Cuordibue' non mi va tanto a genio :unsure:
     
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38 replies since 18/4/2007, 16:59   1238 views
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