I'm Not There - Io Non Sono Qui

by LargoLagrande

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  1. LargoLagrande
     
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    IO NON SONO QUI (Todd Haynes)

    Chi? Chi di loro? Forse un poeta, teorico della vita, di fronte ad una giuria, come se fosse un interrogatorio. Forse un celebre attore con screzi familiari. Forse un eremita che vive esternato dal mondo che vuole dimenticare il suo passato e cerca, nella natura, un posto per morire. Forse, ancora, un ragazzino di colore, scappato da un paese che avrebbero raso al suolo, scappato forse anche da sè stesso, per sempre scappato da sè stesso, con il dono di sapere suonare la chitarra in modo divino, e ancora forse una figura venerata, cantante folk, voce del popolo, paroliere dei pensieri della gente, qualcuno che vuole cambiare il mondo, con una sola canzone... e poi, successivamente, pastore in una comunità cattolica.
    Ed infine un uomo (o forse no?) incapace di provare sentimenti, come amore, dolore... che dall'acustico passa all'elettrico, criticato ed anche odiato, un uomo che rinnega sè stesso, che probabilmente non si conosce, che canta qualcosa che non sa, ma forse neanche gli importa.
    Chi di questi è Bob Dylan? Nessuno? O forse tutti?
    Per Todd Haynes tutti quanti possono essere Dylan. In un film dicevano che gli anni '60 era un momento speciale con gente speciale nel quale poter fare parte, ecco, senza dubbio Dylan è stato il portavoce di una nazione, difatti soprannominato "il pensiero di una generazione", nazione stanca degli omicidi dei propri idoli, i fratelli Kennedy, Marthin Luther King, Malcolm X, stanca di una guerra (quella in Vietnam) che porta solo morti, che dietro al dito puntato dello zio più famoso del mondo, sotto ideali di patriottismo ed altre menzogne, portava i suoi giovani al massacro, stanca dei propri presidenti, stanca di un sistema che stava rovinando "il sogno americano", desiderosa di qualcuno che dicesse le cose come stavano. Con gli strumenti più tradizionali, una chitarra, un'arma che uccide i fascisti, un'armonica e qualche idea per la testa, senz'altro qualcosa da dire. Tutto qua, ma forse basta.
    E allora "Tutti siamo Bob Dylan", ecco così un film ispirato "alla musica ed alle molte vite di Bob Dylan".

    Se vi aspettate un biopic (film autobiografico) tradizionale vi renderete presto conto di aver sbagliato in pieno, difatti gli attori che sono Dylan sono appunto molteplici, ognuno con diverse (ma se studiate a fondo perfettamente coincidenti) sfaccettature caratteriali, tutti legati da un filo sottile che non si vede... ma la sagoma di Dylan è quanto incombente e palpabile quanto a tutti gli effetti invisibile. Di sicuro un titolo azzeccato, I'm Not There, titolo tra l'altro di una canzone incisa con una band, la band, i The Band (guarda a caso.... - nota da fan incallito del complesso -) nel 1967 (ancora guarda a caso) in quel mucchietto, grappolo, di canzoni che si chiama "The Basement Tapes", al tempo un semplice (rarissimo) bootleg, registrato nel Grande Rosa, Big Pink, dimora (a quanto si dice), una delle tante, del vero Dylan e nella quale Robbie Robertson e compagni si rinchiusero per dar vita a due album geniali (di cui uno proprio dal titolo Music From Big Pink), ma questa è un'altra storia. Ciò che importa è che la canzone I'm Not There è come se non fosse mai esistita, evidentemente non era lì, così come l'incredibile e carismatico protagonista che a tutti gli effetti potremmo definire "fantasma".

    Non è uno stolto, Haynes, gestisce così bene il susseguirsi delle scene da far impallidire chiunque, anche i registi più affermati. Senza dover accennare alla pregevolissima arte delle singole scene - inquadrature, l'intreccio è estremamente arzigogolato e ricorda vagamente uno dei Tarantino più incazzati, le storie dei protagonisti si accavallano in continuazione e perdiamo spesso il senso del tutto, finché poi, quando sembra quasi sciamare, esso ritorna imperioso e confluisce in un unico centro.
    Il pregio, la cosa più intelligente, è il non provare nemmeno a 'parlare di Dylan', l'acutezza sta nel dare nomi fasulli a chiunque, la sfuggevolezza del personaggio è così tumultuosa che è impossibile tenerlo in pugno... troppo esorbitante come figura, Dylan, significati molteplici ed impossibile farne un ritratto dettagliato. Ecco, Haynes dal canto suo nemmeno ci prova, lui mette sul piatto una manciata di personaggi, poeti visionari, traditori della tradizione, predicatori evangelici... il resto lo fa lo spettatore, accogliendo anch'egli in sè stesso la personalità del noto cantautore, forse non necessariamente entusiasticamente, magari criticandola - disprezzandola, ma l'assorbimento sarà molto più efficace piuttosto che in una biografia tradizionale.

    Certo il film è pieno di chicche, ancora chapeau al regista perché finissimo nei riferimenti, musicali, ma anche cinematografici, figlio di un cinema che davvero ha fatto arte. Ad esempio costruisce, in alcune scene, attorno al personaggio che nella realtà appartiene a Edie Sedgwick, appartenente alla classe delle 'belle e dannate' di Hollywood, personaggio/superstar/modella/attrice/pittrice Wahroliana, lanciata dallo stesso Andy e per un breve periodo anche fidanzata del nostro eroe Dylan (addirittura fu anche accusato poi delle circostanze che portarono alla morte della stessa nel 71, overdose di barbiturici), personaggio che comunque nel film possiede lo pseudonimo di Coco ed è interpretato da Michelle Williams. E ci pare di vedere quasi Fellini quando il Dylan interpretato da Cate Blanchett (grandiosa) si astrae da una folla di fotografi, che fisicamente scompaiono... e si lancia all'inseguimento di questa rifuggente figura in collant (marchio di fabbrica di Eide - il che la portò anche a fare piccole comparsate sulla copertina di PlayBoy, al tempo che fu)... ed ella fugge e risalgono assieme questa scarpata, dopo essersi addentrati in un bosco. Manco a dirlo sotto c'è pure il tema de "Il Casanova".
    O ancora in una scena mozzafiato b/w dove compare nello sfondo, sfondo di una desolazione data dal Dylan imbottito di farmaci, una tarantola, riferimento probabile a "Persona" di Bergman, così come la buffa scena in cui, sempre, il cantautore, gioca e scherza coi Fab Four (i Beatles, per chi non lo sapesse).

    Fiore all'occhiello, però, dell'intero film, è la colonna sonora maestosa e Dylaniana fino al midollo.
    Tuttavia se ci compriamo il cd dell'OST al primo pezzo troviamo un nome che non c'è nuovo: Eddie Vedder. Il frontman dei Pearl Jam e surfista a tempo perso, dopo il successo ed i molteplici premi per quel capolavoro che è la colonna sonora di Into the Wild partecipa anche qua, in piccola parte, a fornirci una versione di "All Along the Watchtower" (mai sentita nominare) insieme ad un gruppo chiamato i The Million Dollar Bashes. E qualcuno obietterà... e chi cacchio sono? Bene, dovete sapere che questo complesso musicale è stato creato appositamente per questa colonna sonora da Lee Ranaldo, Steve Shelley, Nels Cline dei Wilco e, fra gli altri, dall’abituale bassista di Dylan, Tony Garnier.
    A parte le versioni originali delle canzoni di Dylan (nel cd della OST le troverete interpretate da grandissimi artisti) in parte massiccia collaborano i Calexico, gruppo roots strepitoso, Tom Verlaine, leader dei Television che furono, i Sonic Youth che ci danno la loro versione di I'm Not There... e naturalmente la Band.
    Una scena che, personalemente, l'ho trovata da pelle d'oca è la versione funebre di Goin' to Acapulco suonata dai Calexico, con Jim James alla voce, cantante dei My Morning Jacket, appunto pezzo suonato al funerale di una giovane in un clima di commozione generale.
    Dopo che lo schermo fuma sul nero, significa che il fim è finito, però... quasi scontata, quasi ovvia, la presenza di Like a Rolling Stone, canzone perfetta... per un film perfetto.

    VOTO 9,5/10
     
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0 replies since 28/5/2008, 17:38   159 views
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