ASCOLTIAMO LA MUSICA

ed usiamo il cervello!!

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  1. LargoLagrande
     
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    Visto che Spiffy mi ha sfidato, e visto che pensavo pure io d'aprirla tempo fa, inauguro definitivamente la mia rubrica su questo forum, che aggiornerò quando mi pare naturalmente.

    Quello che imparerete, ogni lettura, è ascoltare la musica.

    La rubrica consiste nella recensione giornaliera di una pietra miliare della musica in un ordine più o meno cronologico.
    A tal proposito, bando alle ciance, inizierò subito con la prima recensione...



    THE BEATLES - Revolver

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    Questo disco dei notissimi Fab Four è lo spartiacque tra il noto sound pop-beat puro dei Beatles e la parentesi pop-psichedelico. Oltre a ciò, i Beatles mettevano definitivamente fine all'esperienza live. Troppo stress, ma soprattutto la tossico dipendenza (che contribuirà in maniera imponente a dare il sound di pezzi come Strawberry fields forever ed altre perle), ma anche per il semplice fatto che i pezzi diventavano impossibili da rifare, dunque si rinchiuderanno Ringo, Paul, George e John solo in studio.

    Revolver, come detto, è l'antecedente a Sgt. Peppers lonely hearts club band e, seppure l'individualità delle canzoni non dia possibilità di troppi paragoni (A day in the life), Revolver è più disco, non contiene capolavori storici, ma tutte le tracce sono perfette ed ognuna profuma di un'originalità che anche dopo 50 anni dopo continua a sorprendere.

    Le danze si aprono con una voce distorsa che scandisce il tempo in Taxman, la prima track. Subito notiamo.... tutto. I Beatles hanno l'onore e l'onere in questo album di essere tutto, spaziano dal Jazz al Blues, passando dal Folk, al Pop ed al Beat, soffermandosi un attimino sul Garage, sostenuti però dai colleghi Inglesi Kinks, di cui parleremo sicuramente.
    Addirittura (e questo per colpa di quella maledetta mania di Harrison di usare il sitar e dei sounds orientali) si sfoggia anche una punta di suono Indiano (Love to you).

    Tra i pezzi riconoscerete Yellow Submarine, una macchina da soldi e nient'altro, un tormentone che però, tecnicamente è nulla in confronto alle perle che troviamo in questo disco.
    Ribadisco però che è difficile fare titoli che sovrastano altri, e questo è un pregio, poiché si parla di album, ogni canzone è perfetta e contestualizzata. Non dimentichiamo che siamo nel 1966.
    Ci commuoveremo di fronte a Eleonor Rigby o Here, there and everywhere, ma balleremo con And your bird never sing o Doctor Robert.

    Va detto che le tracce sono concentratissime, ai Beatles bastavano poche note per farsi capire, e 3 minuti erano già andare avanti parecchio.

    Spesso si parla male dei Beatles, spesso si parla dei Beatles come geni, però in entrambi i casi ci dimentichiamo di questo disco. L'incredibile talento dei ragazzini di Liverpool di sfornare capolavori lo lascerà presto nel dimenticatoio, ma lo dice il titolo RE-volver, rigirare, riavvolgere, riascoltare.

    Questa perla brilla e continua a farlo imperterrita e, non a caso, ha il suo posto nell'olimpo, sopra tutto, o quasi.

    Alla prossima....

    TRACKLIST

    1. Taxman
    2. Eleanor Rigby
    3. I'm Only Sleeping
    4. Love You To
    5. Here, There and Everywhere
    6. Yellow Submarine
    7. She Said She Said
    8. Good Day Sunshine
    9. And Your Bird Can Sing
    10. For No One
    11. Doctor Robert
    12. I Want To Tell You
    13. Got To Get You Into My Life
    14. Tomorrow Never Knows
     
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  2. Spiffy2
     
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    COPIONEEEEEEEEEEEE :zizi:
    SPOILER (click to view)
    :SEIUNIDIOTA:

    SPOILER (click to view)
    skezzo :asd: :bravooo: :clab: :ridiridi:
     
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  3. -Ginky-
     
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    CITAZIONE (LargoLagrande @ 18/4/2007, 18:05)
    Quello che imparerete, ogni lettura, è ascoltare la musica.

    significa che questa rubrica ha il solo fine di insegnare musica dalle tue recensioni, o serve ad instaurare discorsi seri e costruttivi sugli album che recensisci?

    no perchè se è la prima allora sarebbe una cosa a senso unico completamente inutile, soprattutto su un argomento più personale che oggettivo come la musica :asd: :duh: :furia: :babyron:

    cmq mi piacerebbe sentire oggi live le canzoni di revolver, sgt. pepper, il white album e gli altri a venire. non credo che la riproduzione in concerto costituirebbe ancora un problema con le meraviglie di oggi! :porcaeva:

    cmq ogni volta che sento eleanor rigby eiaculo :asd:
     
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  4. Polnie-Herman
     
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    posti le sole tue recensioni qui, Largo?
     
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  5. LargoLagrande
     
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    ovviamente è un posto per discutere

    io qui posto le recensioni non solo dei miei album preferiti, ma anche quelli più apprezzati dalla critica, o comunque più importanti nel panorama musicale.

    le recensioni sono mie, si :D
     
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  6. Polnie-Herman
     
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    :sìsì:
    ed allora tanto di cappello alla tua prima recensione. Bella davvero :sìsì:
     
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  7. LargoLagrande
     
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    THE BEACH BOYS - Pet Sounds

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    Quando si parla di un disco come questo si è sempre in difficoltà. Stiamo parlando del 1966 e già al tempo i Beach Boys erano un'istituzione in america. Tutti i singoli dei Surfers avevano sempre sfondato e Brian Wilson, il leader, era una macchina da soldi. A soli 18 anni aveva il mondo e le top ten in pugno.
    Dunque, se pensiamo ai Beach Boys pensiamo a pezzi tipo Surfin Usa, Kokomo e California, cioè l'"istituzione" di cui parlavo prima. Se pensiamo ai Beach Boys pensiamo a spiagge, pensiamo al revancismo nazionale americano che dopo Pearl Harbour e la bomba atomica finalmente può rinascere.

    Parliamo di Brian Wilson, questo talento incredibile, alla luce della sua maturità artistica, eternamente turbato, infelice, sordo da un orecchio, solo, tossico dipendente. Idea Pet Sounds praticamente da solo, scrive tutti i pezzi e solo alla fine i suoi compagni vengono a conoscenza del progetto. Supportati dalla Capitol si decide a malavoglia di incidere, quello che viene fuori è un capolavoro, forse il miglior disco di sempre. La copertina è per la prima volta melanconica, mostra un'atmosfera autunnale, è finito il tempo della sabbia, il mare, il sole, il divertimeno... Ed è finito anche il tempo in cui i Beach Boys vendevano. Questo è il primo "flop" della band californiana, il pubblico non era preparato ad un disco così triste, ma dentro così pieno di significati, così bello. Un disco che non si è più gli stessi dopo l'ascolto... e così Brian Wilson, che scomparirà quasi completamente dalla scena. La frustrazione e la tristezza, il componimento di un'opera che rappresenta tutto
    sè stesso, rovinata dall'ignoranza di un target che ancora non era pronto.

    Wilson fa la figura di Van Gogh, la sua gemma più brillante, la più pura non verrà subito considerata. Ma il futuro, perlomeno per l'opera in sè, è un futuro roseo.

    Ora analizziamo l'album tecnicamente.
    Tutto si apre con il cinguettio della chitarra, fino all'apertura di Wouldn't it be nice, il pezzo che più ricorda il passato della band, il più allegro ed un piccolo capolavoro. Senza tregua si viene catapultati verso You still believe in me, un pezzo a mio avviso favoloso, di un sound incredibilmente triste ed incredibilmente bello. Bello da piangere.
    Wilson riflette, pensa al suo passato, alla sua infanzia (tanto che il titolo alla genesi fu In my childwood). Brian rivede tutto subconsciamente, un trillo di un campanello di una bicicletta, un clacson. Il cantato incredibile con dietro un arrangiamento favoloso. La storia, i significati nascosti di questa canzone, la rendono piacevole, tendente all'infinito.
    Dopo quest'esperienza di due soli minuti e mezzo il disco scivola via leggero e bellissimo, la voce di Wilson sovrasta, malinconica e pulita, i violini, il drumming perfetto di canzoni perfette, i cori accentuano la tristezza, ma tutto c'è mascherato con audacia incredibile.

    Mi dilungherei troppo a lodare ed a descrivere tutti i brani, mi ci infilerei dentro e non ne uscirei più. Il disco si chiude con le percussioni di Caroline No, l'incredibile descrizione di una ragazza dai lunghi capelli. La fine della traccia, che arriva quasi a sfumare nel silenzio, è invece dettata dai guaiti di alcuni cani... ed il rumore di una locomotiva, quasi come la fine di un viaggio. Se nel disco non si hanno dubbi che il tutto rappresenti la fine dell'estate, questo rappresenta anche la fine di un viaggio. Il viaggio di Pet Sounds, un disco, la cui amara bellezza da le lacrime agli occhi!

    TRACKLIST

    1. Wouldn't It Be Nice
    2. You Still Believe in Me
    3. That's Not Me
    4. Don't Talk (Put Your Head on My Shoulder)
    5. I'm Waiting for the Day
    6. Let's Go Away for Awhile
    7. Sloop John B
    8. God Only Knows
    9. I Know There's an Answer
    10. Here Today
    11. I Just Wasn't Made for These Times
    12. Pet Sounds
    13. Caroline No

    Edited by LargoLagrande - 18/4/2007, 21:57
     
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  8. -Ginky-
     
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    quest'album è un capolavoro. brian wilson ai suoi tempi era più un compositore classico che un bassista che faceva surf! il sottogenere musicale degli esordi è stato solo l'inizio, il punto di approccio, ma una volta maturata la sua percezione musicale ha sfornato album come questo che resteranno immortalati per sempre nella storia. brian wilson, come anche altri personaggi importanti (cito lennon e strummer) è stato uno dei pochi ad uscire dalla propria etichetta musicale, travalicando il genere da cui era partito per fare ogni tipo di musica che gli piaceva fare. è stato uno dei pochi che ha fatto vedere cosa vuol dire esattamente "fare musica" :)

    cmq questa rubrica è splendida :asd:
     
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  9. Spiffy2
     
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    LARGO HO SOLO UNA PAROLA PER TE BRUTTO COPIONEINFINGARDOLADRO DI TOPICSEROVINAPOSTLADRODIGENIALITAALTRUIIINNEURONEINCASSAINTEGRAZIONE che non sei Altro......

    ECCOLA......

    SPOILER (click to view)
    image...e poi non di che sono bravu :rolleyes:


     
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  10. LargoLagrande
     
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    LOVE - Forever Changes

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    Avanziamo nella nostra cronologia di un anno, passiamo al 1967. Quest'anno è famoso per l'uscita di dischi come Sgt. Peppers dei Beatles o l'esordio dei The Doors del Lizard King, all'etichetta Elektra, e per un sacco di altri motivi, ma quello che tutti ricordano meno è l'uscita del disco dei Love, Forever Changes. La band "multicolore" (per via dei componenti sia neri e bianchi) fu abbastanza ignorata dalla sua casa d'incisione, poiché, come già detto, si cercava di curare al meglio l'avvento di Morrison e compagni, così ebbe via libera e non troppi canoni da rispettare, per dare così spazio alla fantasia.

    Arthur Lee, voce e chitarra, autore di due opere con i Love (Love e Da capo), troverà nel frattempo perennemente frustrato il suo desiderio di portare i suoi brani in cima alle top ten, ma poco importa, mi viene da dire, dopo aver sentito un disco come Forever Changes. Va detto che lui, insieme a Bryan McLean (altra mente del gruppo) e via via tutti gli altri, quando si presentarono in sala d'incisione per le registrazioni, appunto, di questo album, erano ognuno tossico dipendente da qualcosa, dunque raggiungevano gradi di ingestibilità insopportabili. Così Bruce Botnik, il produttore, fece loro imbracciare di peso le chitarre e li fece supportare da un'orchestra di archi e fiati (The good humour man...). Risultato? Una parola. Perfezione. Quei ragazzi la musica la sapevano fare e la sapevano suonare... e tutto lo facevano davvero bene, con grazia paradisiaca.

    Non a caso, questo disco non vendette subito molto, ma fu apprezzatissimo dalla critica fin da subito ed è ritenuto tra i dischi migliori di sempre (per me, il migliore). Tra le tracce si parla d'amore e malinconia con malinconia, velata e soave, tutti gli strumenti funzionano e si coadiuvano a vicenda, mixati eccezionalmente, poi la chitarra di Lee, perentoria nei suoi assoli, sognatrice nei suoi arpeggi. Erano davvero bravi a suonare questi Love. Non ci dobbiamo sorprendere che mostri sacri come Jimi Hendrix siano andati al successo anche grazie all'apprendistato con il leader di questa band.

    Il disco viene su come un risucchio, e da lì, perlomeno per 40 minuti, non si avrà mai più tregua. Tutto comincia con le note leggere, solamente sfiorate, della chitarra in Alone Again Or, uno dei pochi pezzi di McLean (manco a dirlo gli altri, a parte Old Man sono tutti di Arthur Lee) che si mischia un po' a suoni sud-americani, un po' folk e un po' blues. La voce pulita e perfetta, così come tutto il resto, a supporto delle chitarre, sempre pronte a farsi sentire. Subito A House is not a Motel, una piccola perla psichedelica, con la prima perla di Lee alla chitarra, un assolo da urlo.
    Con Andmoreagain e The daily planet, tutto scivola bello, quasi che se chiudiamo gli occhi sognamo anche noi. Old Man è un altro pezzo favoloso, scritto anch'esso da McLean, un lento, con un basso bene in evidenza e la classica malinconia che però ci fa sul serio arrivare alle lacrime. The Red Telephone è un po' il capolavoro di questo disco, direttamente dalle influenze contemporanee del noto diamante incastonato nel muro (Syd Barrett per i profani), l'orchestra dietro è eccezionale, loro suonano da Dio e poi Lee si da spazio per raccontare una specie di filastrocca. La psichedelia quando diventa arte. Da questo pezzo in poi iniziamo a renderci conto cosa abbiamo di fronte. Oro puro. Al che arriviamo al pezzo col titolo più strano e bizzarro che io abbia mai visto (Maybe the people...), dove reinizia la classica e l'elettrica dei Love a battere perentoria, fino all'assolo finale di Live and let live, uno scusa grande come una casa a chi è abituato a sentire le schitarrate degli attuali Dream Theathre, Arthur Lee, nonostante le visioni, sa perfettamente il limite, superato il quale, bravura diventa sboronaggine e lui quel limite non lo oltrepassa mai. Arthur Lee ci da un'altra prova del suo incredibile talento e ci spaventa.
    Vellutatissima The good humour..., con un delicatissimo mix di violini, trombe e pizzicato fa venire le lacrime agli occhi, ma lo fa anche l'assolo di Bummer in the summer, quello più da top ten del disco, ma è talmente bello che si riascolterebbe milioni di volte.
    Tutto termina con You set the scene, un po' un'anticipazione di quello che sarà il progressive, un pezzo che va un po' fuori dai normali canoni di lunghezza (supera i sei minuti). Si potrebbe paragonarla ad un'A day in the life, più acustica, un po' meno geniale, ma tanto tecnica. Il risultato è un pezzo eccellente, quello giusto per chiudere un disco che è qualcosa di stratosferico.

    Questo gioiello dei tardi sessanta, che qualcuno ha dimenticato e qualcun'altro non ha mai conosciuto, rimane la pietra più splendente del creato che, come tutte le opere d'arte, "ignora soavemente" il tempo che passa e rimane lì, sempre a galla, in tutte le All Times.
    Il nome Love è un nome difficile da avere, ma ai Love l'onore e l'onere, ma soprattutto la gloria ed il merito. La gloria ed il merito per questo disco per cui io mi sento di dire Grazie.

    TRACKLIST
    1. Alone Again Or
    2. A House Is Not A Motel
    3. Andmoreagain
    4. The Daily Planet
    5. Old Man
    6. The Red Telephone
    7. Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale
    8. Live And Let Live
    9. The Good Humor Man He Sees Everything Like This
    10. Bummer In The Summer
    11. You Set The Scene
     
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  11. Federico M.
     
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    Continua così, apprezzo il tuo proposito ed invito gli utenti a partecipare attivamente alla discussione cosicchè possa diventare motivo di crescita culturale per tutti.
     
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  12. -Ginky-
     
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    leggendo le tue considerazioni su quest'album me lo sono fatto portare da "un amico", e dopo un giorno di ascolto (troppo poco per avere un'idea ben definita, può essere anche che cambierò parere in futuro!) tutto sommato credo che tu lo abbia sopravvalutato! certo, la qualità si sente ed è ovvio che è un bell'album, ma da qui a dire che è il migliore ce ne vuole. cmq rispetto la tua opinione, anche non condividendola. la cosa bella della musica è che è impossibile valutarla in base a parametri assoluti! si cambia da persona a persona, i gusti possono essere infiniti. cmq io preferisco i primi 2 album che hai recensito rispetto a questo :)
     
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  13. LargoLagrande
     
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    ma nemmeno a me è piaciuto subito!! :D

    però dopo alcuni ascolti, è iniziato a diventare bello e adesso lo ascolto almeno una volta al giorno... lo stesso che è successo con OK computer o com'è successo alla critica Inglese su Kid a/Amnesiac (tutti e tre i cd naturalmente dei radiohead).

    Non sono dischi facili, però capita quel giorno che il sole splende, tutto va bene ed una musica suona. Allora capisci veramente quello di cui sei in possesso...

    ah, grazie a fede per l'incoraggiamento, purtroppo oggi sono stato in gita quindi niente rece, a domani!
     
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  14. Polnie-Herman
     
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    Macchebbravo, una recensione al giorno..
    gran bel traguardo già ora comunque!! Finora ho soltanto scoperto che in fatto di cultura musicale sono una capra :D
     
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  15. LargoLagrande
     
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    Vabeh, serve anche a questo la rubrica :)

    nel senso, di dare un minimo di mappa sul cosa ascoltare, andando sul sicuro, non far sentire la gente ignorante, s'intende ;)
     
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38 replies since 18/4/2007, 16:59   1238 views
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